Una delle prime risorse alimentari dell’uomo, la carne di selvaggina, non è stata oggetto di altrettanto precoci attenzioni da parte degli igienisti, rimanendo a lungo una pecora nera nell’ispezione degli alimenti.
Le sue caratteristiche nutrizionali sono molto apprezzate, la particolare composizione amminoacidica, la prevalenza di acidi grassi poliinsaturi e la presenza di omega 3 sono fra gli elementi che distinguono questa carne non solo da quella delle specie domestiche, ma anche da quella della selvaggina di allevamento. Una parte di consumatori sensibili ai problemi del benessere animale opta per questa carne anche per motivi etici e perché in essa si possono escludere problematiche legate alla presenza di residui di trattamenti terapeutici o di promotori di crescita.
A fianco di queste caratteristiche si pone però il problema di un tipo di produzione molto meno controllabile, soprattutto nelle fasi primarie. L’animale conduce infatti la sua vita in un contesto non limitato e standardizzato dall’uomo.
La caccia si svolge in condizioni di campo molto variabili e il fornire garanzie riguardo alla produzione primaria è in primo luogo appannaggio del cacciatore. Esso assume così un ruolo cardine di garante della sicurezza, che lo accomuna ad altri produttori primari. La sua formazione, come è stato precocemente intuito in altre realtà europee ha un ruolo fondamentale. Esso deve valutare la tecnica di caccia scelta, le condizioni di trasporto ed è responsabile delle prime manualità sulla carcassa. E’ il cacciatore inoltre la sola persona a poter praticare un’attenta osservazione dell’animale poco prima dell’abbattimento, sovrapponibile in termini molto approssimativi alla visita ante mortem  praticata dal veterinario.
In questa fase è possibile evidenziare eventuali anomalie comportamentali o di altro genere che potrebbero denunciare uno stato patologico e che in caso di sospetto potranno essere denunciate ad un veterinario ufficiale. Una formazione ed un aggiornamento continuo riguardanti le buone pratiche di igiene e nozioni sulle principali malattie dei selvatici, con particolare accento su quelle di carattere zoonotico, sono requisito indispensabile per ottenere un prodotto di alta qualità igienica ed organolettica. Queste basi trasformano il cacciatore in una persona formata  e permettono di valorizzare ed eventualmente commercializzare la carne di selvaggina. Spesso accade infatti che le carni di molti animali abbattuti durante piani di controllo demografico non possano essere utilizzate proprio perché non esiste un sistema in grado di garantirne la sicurezza e la commercializzazione.
Poco è ancora noto sul rischio di inquinanti ambientali e sulla presenza di microrganismi agenti di zoonosi nelle carni di selvaggina e risulta necessario implementare l’impegno anche sul fronte della ricerca. Trovare una soluzione idonea per una gestione igienicamente corretta della carne di selvaggina è una sfida tanto difficile quanto doverosa. Il pacchetto igiene del 2004 considera con maggiore attenzione questo settore e i paesi che, come l’Austria, si erano già movimentati per approfondire questo ambito un po’ dimenticato dell’ispezione, si sono trovati avvantaggiati e hanno dovuto apportare minime modifiche al loro sistema di gestione per adeguarsi ai requisiti imposti dalla legislazione europea. D’altro canto la legislazione europea non fa altro che riprendere quelle che in parte erano le misure già adottate e radicate in ambito austriaco e tedesco.
In futuro sarà inoltre necessario basare la formazione dei cacciatori su basi il più possibile uniformi per garantire un medesimo standard di qualità in Europa. Questa uniformità normativa si rivela fondamentale anche per il fatto che alcuni cacciatori praticano l’esercizio venatorio anche al di fuori del proprio stato di appartenenza, dove la loro licenza è comunque riconosciuta.
Con un po’ di impegno si potrebbe dunque arrivare a garantire quel principio, evocato dalla normativa, che tradotto in questo contesto suonerebbe come “dal bosco alla tavola”, assurgendo a simbolo del famoso criterio di tracciabilità, già garantito per altri alimenti.